Tornando di getto a Francesco dirò che il capo della Chiesa, nello stesso momento in cui è riconosciuto sul piano politico come capo di Stato, ammette di poter indossare contemporaneamente due abiti in palese contrasto ideologico, e questo suo atteggiamento rivela un’incongruenza insanabile. Credo, a questo punto, che dovrebbe optare per una scelta coraggiosa. Sapendo, e immagino lo sappia, che alle sue spalle o, come sostengono certe voci, in maniera studiatamente occulta, si svolgono attività illecite di pesante gravità, potrebbe scagliarsi con tutte le sue forze contro il mondo corrotto che lo circonda, pur esponendosi inevitabilmente all’ira di una cerchia dei suoi cardinali e mettendo a repentaglio la stabilità della sua stessa posizione di capo della Chiesa cattolica. Le riforme alle quali ha affidato il suo compito di trasformazione-conversione non hanno dimostrato di produrre risultati efficaci. Tout change et tout reste le même, dicevano i nostri fratelli d’Oltralpe. Mutano soltanto le apparenze, le esteriorità, ma il nocciolo della questione resiste a qualsiasi tentativo di sgusciarlo. Vogliamo mantenere e riportare in vita la Chiesa di Cristo? Allora dissociamola subito, radicalmente, da ogni allettamento di ricchezza e di potere terreno. Il Papa dovrà decidere: salvando l’esempio offertoci da Gesù Cristo, allontanando le mire di realizzazione mondana, dovrà immancabilmente dedicare tutta la propria vita e le proprie risorse alla venuta del Regno di Dio oppure, per altra scelta, credere di dover abbandonare l’insegnamento apostolico e di proporsi come guida suprema secolare dello Stato Pontificio. L’avverarsi della prima fra le opzioni accennate porterebbe con sé conseguenze di portata mondiale, un vero terremoto sul piano della detenzione del potere e dell’accentramento di beni finanziari. Ammettiamo, per pura ipotesi, che Papa Francesco deliberi a un tratto di estraniarsi dalla realtà ambigua nella quale si trova impaniato e si getti interamente nelle mani di Dio per amarlo, adorarlo e servirlo, prodigandosi a riversare amore cristiano e aiuto fraterno ai suoi fedeli. Ecco la nuova e rinnovata panoramica: nessuno fra i benefici particolari goduti in precedenza, nessuno sfarzo, nessuna cerimonia faraonica, ma soltanto un capo di una Chiesa povera, nel vero senso della parola, in abiti modesti, missionario come gli undici che seguirono Gesù per portare a tutti la sua parola di salvezza.
E il suo seguito? Qui sta uno dei problemi più gravosi, se non il primo in assoluto. Be’, non ci sarà più chi avrà a disposizione un appartamento di diciassette stanze rimesso a nuovo con i soldi delle elemosine, non ci sarà più chi si avvarrà dell’immunità cardinalizia per potersi intrufolare in loschi affari e per nascondere comportamenti immorali, non ci saranno più auto lussuose a disposizione, residenze dotate dei migliori agi e comodità, scompariranno come d’incanto i vistosi privilegi per troppo tempo goduti. Vestiti come Frate Francesco, dediti a una attività lavorativa che consenta loro di campare, aiutati in caso di necessità dai fedeli ai quali portano la parola di Gesù, questi nuovi apostoli della fede ne saranno i veri e autentici testimoni. I beni e le fortune messi insieme nei secoli dallo Stato del Vaticano? Devoluti del tutto a Enti statali dotati della massima probità perché ne devolvano gli introiti e gli utili a sanare le piaghe che sovrastano la popolazione, in primo luogo per migliorare il tenore di vita di chi non ce la fa a soddisfare i bisogni essenziali e di chi necessita di assistenza.
Bufera, terremoto, Sturm und Drang, tempesta e assalto da parte dei principi seduti sugli alti scranni della cattolicità. Tanti secoli di lotte per edificare un Impero forte e temibile e, infine, mandare dall’oggi al domani tutto all’aria? Perché? Gli intoccabili non si devono infastidire. Forse che il “capo” è impazzito? Si è tutto d’un tratto bevuto il cervello? No, non ha da essere, non resta altro da fare che liberarci di lui e mantenere il tanto apprezzato status quo. Così che per Papa Francesco sarebbe da attendersi una fine infelice. Tutto questo scenario immaginabile soltanto in fantasia potrebbe assumere un volto reale se veramente il capo della Chiesa cattolica comprendesse e accettasse in profondità e in genuinità di spirito la lettera del messaggio evangelico. Sì perché, come oggi funziona, il complesso dell’apostolato cattolico lascia facilmente pensare a manovratori che della parola di Gesù non sanno che farsene e hanno piuttosto imparato a fingere, a recitare una parte del canovaccio esistenziale sul quale si muove la società intera, che sono tornati nel Tempio per farne, ancora, “una spelonca di ladri”. Sacro timore, dunque, di perdere ricchezze e potere, le due braccia del demonio protese per impossessarsi del mondo con tutte le sue comparse. Paura di cadere nei vortici della miseria dove chi andava vestito di porpora finisce per contare più nulla.
Mantenere, infine, le conquiste realizzate compiendo con bieco asservimento i disegni di Satana. Eppure Gesù aveva spiegato a chiare lettere che cosa si sarebbe aspettato dagli uomini: una vita alla presenza della luce del Verbo nell’attesa della venuta del Regno di Dio. Se, pertanto, questo comandamento fosse stato preso alla lettera, interpretato con fede e posto alla base delle proprie esistenze, gli uomini di Dio non avrebbero alcunché da temere. Come ci ha promesso Gesù, il Padre non abbandona chi dimostra con i fatti di credere in Lui e che lo fa con amore. Allora ecco che, abbandonate le ricchezze, il superfluo, i posti di comando e di influenza sulla più ampia cerchia sociale, gli uomini di Dio acquisirebbero una ricchezza superiore, senza confronti, quella che deriva dalla convinzione di seguire la strada nella direzione indicata dal Messia, aprendosi ai segnali impressi nelle coscienze di ciascuno.
Ma purtroppo spira un’aria, in questo nostro povero mondo, che ci spinge a solcare altri tratturi e lo fa usando malizie allettanti e ipocrite, alle quali diventa eroico il solo provarsi a resistere. Forse Papa Francesco volge gli occhi ogni giorno a questa situazione, ne fa un possibile motivo di ripensamento e di cambiamento e ne intravede, al medesimo tempo, le immediate conseguenze. Resta fermo, allora, osserva e tace, forse qualche forma di timore lo immobilizza. Anch’egli, credo, deve ancora farsi convinto di che cosa significhi l’aver fede in Dio.
Ecco dunque la fede, la parola che rimbalza di bocca in bocca, risolutrice alla bisogna di tutti i dubbi, troppo richiamata per riportare all’ordine lo stuolo dei fedeli privi di disciplina morale. Ma di fede si parla, si parla molto, benché tutti ce ne stiamo a debita distanza. Dicendo fede si indica fiducia illimitata in una persona, in un evento etnico, in una verità rivelata. Ossia credere senza remore nella persona alla quale abbiamo accordato la nostra fiducia. Con una distinzione: se do la mia fiducia a una persona in carne e ossa può darsi anche che io stia giocando d’azzardo; posso essere più o meno consapevole della credibilità morale di cui quella persona si riveste, ma il mio atto di fiducia può d’altro canto essere tradito perché non corrisposto oppure usato a mio danno. Se, peraltro, il mio pensiero è rivolto a una Divinità che, per sua natura, non può albergare in sé il male e l’inganno, allora sono certo che la mia fiducia sarà corrisposta. Con la Divinità voglio pensare di essere legato come da una fune a doppio gancio: ciascuna delle due estremità, nel muoversi, provoca una reazione immediata nell’altra. Dunque Dio, se vogliamo continuare a usare questo termine indefinito, non può scordarsi di me se io lo invoco con fede incrollabile.
Il capo della Cattolicità, credo, si attarderà anch’egli, a lungo, in queste congetture e la sua determinazione sarà rimbalzata fra due spinte avverse: l’aver fede nell’Altissimo oppure lasciare che le cose si svolgano come sta scritto in natura, là dove i disegni della controparte manichea ne manipolano con disinvoltura le premesse e le possibilità di realizzazione. La fede nella Divinità, in primo luogo, sarebbe quella grande forza richiesta per portare l’umanità verso la venuta del Regno di Dio con la vittoria del Vero, del Bene, del Giusto, del Bello. Ed è quello che mi aspetterei dal Pontefice dei nostri giorni, una decisione di cambiamento nel coraggioso anelito alla Verità suprema, una vera riforma delle coscienze, la “Madre di tutte le Riforme”.