Breve rassegna dell’epopea Alpina nella Grande Guerra, in 7 puntate
Episodio #06
La Conca di Plezzo era, al tempo della Grande Guerra, una zona tattica all’inizio considerata quasi in sott’ordine dagli Alti Comandi, sia italiani sia austroungarici, ma progressivamente si rivelò teatro di scontri di estrema importanza sia sul piano tattico sia su quello strategico.
Le sue caratteristiche più spiccate per la presenza e l’operatività degli Alpini erano costituite da due monti resi famosi per le epiche vicende che sulle loro pendici si svilupparono, una vera “Scilla e Cariddi” dei tempi moderni: il Rombon (m 2.208) e il Čukla (m 1.767) a sudovest del Rombon.
Su tutta l’area della Conca di Plezzo furono queste le zone contese che assistettero ai combattimenti più accaniti.
Al sorgere del Grande Conflitto l’abitato di Plezzo era stato soggiogato dalle forze italiane, ma i veri dominatori della Conca erano gli Austriaci, saldamente appostati sul Rombon. Poiché le nostre truppe rincorrevano l’obiettivo di portarsi a est di Plezzo per penetrare all’interno delle Alpi Giulie, apparve subito assolutamente necessario impadronirsi della cima del Rombon. Ma quella cima era presidiata dal 2° reggimento Fucilieri da montagna che per quasi il 90% annoverava tra le sue file combattenti sloveni, ovviamente animati da profondo amor patrio. Erano anche soldati di fortissima tempra combattiva che sarebbe valsa per imporre una difesa strenua delle loro terre all’invasione straniera. Per questo avevano munito il terreno occupato con due, tre o quattro linee di trincee rinforzate che avrebbero posto le migliori garanzie di sbarramento ai tentativi di aggressione.
Per le nostre truppe alpine, prima di sferrare un attacco massiccio al Rombon, parve necessario assicurarsi una buona posizione sul Čukla. In cima al Rombon stavano tre compagnie di difensori austriaci e sul Čukla vegliavano due plotoni nemici ben armati.
Il 27 agosto 1915, si era appena conclusa la seconda Battaglia dell’Isonzo, due battaglioni alpini, il Bes e il Val d’Ellero, muovendo dai versanti meridionale e orientale, tentarono una scalata verso la cima del Rombon, ma non riuscirono nell’intento per l’imponente difesa opposta dalle mitragliatrici austriache. Ci provarono ancora due giorni dopo, poi l’11 settembre e verso la fine del mese perché la conquista del Rombon sarebbe stata una mossa d’obbligo: avrebbe offerto un facile accesso alla Val Koritnica.
L’anno seguente, il 1916, segnò l’apice degli sforzi e dei sacrifici degli Alpini attorno al Rombon e al Čukla. La 44a divisione austroungarica, di stanza nella Conca di Plezzo, faceva di tutto per impedire agli Italiani di impossessarsi del Čukla perché di lassù avrebbe dovuto temere probabili forti minacce. Ormai sul Čukla, in seguito alla conquista italiana dell’agosto 1915, era appostato, abilmente trincerato, un battaglione di Alpini, forte di una batteria (cannoni) da montagna.
Siamo nel periodo che intercorre fra la quarta e la quinta Battaglia dell’Isonzo. Il Čukla, altra cima parimenti contesa, fu oggetto di un’avanzata, il 12 febbraio 1916, da parte di una compagnia di Gebirgschützen carinziani comandata dal tenente Mickel, e appartenente alla 44a divisione a-u (1° reggimento carinziano Fucilieri da Montagna). Era appena rintoccata la mezzanotte del 12 febbraio che due compagnie del 1° Fucilieri risalirono con sorprendente rapidità e cautela le pendici del monte sino a raggiungere e a sorprendere gli Alpini nel sonno. Detto e fatto, il Čukla fu nuovamente preda austriaca verso le 3 del mattino 13 febbraio, con un bottino di 83 prigionieri e quattro mitragliatrici. Seguirono giorni feroci di lotta, nei quali la 36a divisione italiana lanciò gli Alpini dei battaglioni Pieve di Teco, Exilles e Bassano in una serie di attacchi per riprendere la cima del monte. Le condizioni meteorologiche, estremamente avverse, fecero combutta con il preciso fuoco sviluppato dai reparti austriaci che riuscirono ad avere la meglio sui nostri Alpini per i quali, nel giro di una settimana funesta, si avverò il sacrificio di circa 400 vittime.
Ci troviamo ora nei primi giorni che seguirono la quinta Battaglia dell’Isonzo. Stava spegnendosi la giornata del 17 marzo quando la divisione austriaca Fucilieri mandò i propri fanti all’attacco dei nostri (24° divisione) appostati alle pendici del Rombon. I Fucilieri ridiscesero il versante innevato del Čukla da loro occupato e, ancora una volta, colsero i nostri di sorpresa provocando 559 perdite, di cui 224 prigionieri.
In vetta al Rombon, da parte austriaca, si decise per il cambio delle forze a difesa. Il 1° Fucilieri da Montagna lasciava il posto al 4° Reggimento bosniaco.
Nella seconda metà di marzo 1916 il battaglione Alpini Saluzzo del 2° Reggimento giungeva in Conca di Plezzo e nei primi giorni di aprile si portava nel settore del Monte Rombon dove si apprestava per tentare la conquista del Čukla, sistemandosi poco al di sotto della cresta occupata dagli Austriaci sin dal 13 febbraio.
Il 4 maggio gli avversari presero di mira le posizioni italiane con l’artiglieria, quindi spinsero in avanti le artiglierie per disfarsi degli intrusi, ma gli Alpini del Saluzzo ebbero la meglio nel confronto ravvicinato.

La data del 10 maggio 1916 segnò l’inizio dell’attacco italiano. In quel momento sul Čukla stavano saldamente a difesa tre compagnie di Bosniaci, e furono quelle che subirono il fuoco scatenato dalle batterie da montagna della 24a Divisione italiana. Le trincee austriache venivano devastate dai colpi delle bocche da fuoco nell’istante in cui quattro battaglioni di Alpini si appostarono per lanciarsi all’attacco. Erano trascorse alcune ore di bombardamento intenso, dopodiché irruppero le formazioni di Alpini con in testa il battaglione Saluzzo comandato dal tenente colonnello Luigi Piglione. Non fu un’impresa semplice, perché molti Alpini caddero nell’avanzata sotto i colpi precisi dei Fucilieri imperiali.
I battaglioni Saluzzo (22a e 23a compagnia) e Bassano con la 62a avanzarono per la conquista del Čukla. Il Saluzzo e la 62a compagnia del Bassano riuscivano nell’impresa e, nel medesimo tempo, altri battaglioni alpini, il Pieve di Teco, il Borgo San Dalmazzo e l’80a compagnia del Saluzzo erano diretti a occupare la Findenegg Hütte e i forti trinceramenti di Krunn-Bach.
Dopo molto combattere e molto patire, gli Alpini dei battaglioni Bassano e Saluzzo si impadronirono della cima del Čukla, ma soltanto in seguito a un cruento corpo a corpo con i Bosniaci che comportò un rilevante numero di perdite da entrambe le parti. I Bosniaci, già da mesi padroni del monte, finalmente circondati, cedettero le posizioni alla Bandiera italiana che vi tornò a sventolare. Si calcolò che le tre compagnie di Bosniaci avessero subito 250 perdite, metà delle quali costituite da prigionieri. Si stimò che gli Alpini avessero lamentato 534 perdite, ivi compreso il valoroso tenente colonnello Piglione colpito a morte mentre avanzava alla testa del proprio battaglione, insignito quindi di Medaglia d’Oro al Valor Militare. Gli annali della Grande Guerra riservarono un posto d’Onore particolare alla riconquista del Čukla realizzata il 10 maggio 2016, a fianco della parimenti meritoria impresa che undici mesi prima aveva portato il 3° Alpini alla conquista del Monte Nero.
Arriviamo al tempo della settima Battaglia dell’Isonzo. Nulla era cambiato nei piani strategici del generale Cadorna. Si doveva assolutamente sfondare sull’Isonzo, ma proprio qui fu deciso di tentare un ulteriore attacco su un fronte che si opponeva a quello dell’Isonzo: ancora contro le scoscese erte del Rombon che tanto affanno aveva procurato allo Stato Maggiore della 2a Armata italiana. Con la padronanza del Rombon era possibile allargare il controllo della Conca di Plezzo nella parte superiore dell’Isonzo, ma lassù stavano appostate ingenti forze austriache dotate di armi e sistemi difensivi accessori di elevata efficienza ed efficacia. Il tenente generale Settimo Piacentini coltivava la ferma intenzione di costringere gli avversari ad abbandonare il monte, e in questo suo proposito era confortato dall’approvazione del generale Cadorna, comandante supremo dell’Esercito italiano.
L’ordine di sferrare il nuovo attacco al Rombon pervenne al IV Corpo d’armata, senza che fossero ammessi segni di cedimento. Verso la metà di settembre, allora, si formò una disposizione di truppe scelte tratte da una brigata di Alpini, dominate dall’alto dal reggimento austriaco appostato sulla vetta, con due battaglioni di punta. Era il 4° Reggimento bosniaco che si trovava lassù sin dal mese di aprile. Un’altura prospiciente a circa 400 metri a lato della cima del Rombon, denominata “Romboncino” (m 2.105), era guarnita da poderosi trinceramenti; lì erano sistemate cinque compagnie del 4° Reggimento, mentre altre tre erano trattenute come riserva sulla vetta.
John R. Schindler (Isonzo, LEG Edizioni, Gorizia 2002, traduzione e integrazione di Alessandra Di Poi), racconta che il 4° Reggimento a-u era comandato dal tenente colonnello Leo Kuchynka e che i difensori del Rombon erano sottoposti a ogni genere di sacrifici e di privazioni, non meno e forse più rispetto ai nostri Alpini: cibo fresco e acqua non erano sufficienti al fabbisogno essenziale, intemperie furibonde accompagnate da fulmini, neve altissima e bombardamenti micidiali scatenati dalle artiglierie italiane imperversavano quasi senza sosta. A difendere quelle balze impervie erano soldati croati, musulmani e serbi, assai temibili nel corso dei feroci combattimenti, rincuorati con l’assegnazione di due tazze di rhum pro capite a settimana.
Sul Rombon l’attacco decisivo fu sferrato il 16 settembre 1916, precisamente alle ore sei del mattino, preceduto da un roboante fuoco di preparazione sviluppato dai cannoni del IV Corpo d’armata. I pezzi, sistemati sulle pendici inferiori del Rombon e in altri siti della Conca di Plezzo, presero di mira le posizioni del Romboncino. Gli Austriaci reagirono, guidati dal tenente colonnello Kuchynka che fece dirigere i tiri di artiglieria sulle formazioni di Alpini in assetto di attacco sul Čukla. Il battaglione Alpini Ceva soffrì le maggiori perdite con 29 soldati messi fuori combattimento, fra i quali il maggiore che comandava il battaglione e il cappellano militare. Ne seguì un vero disastro per gli Alpini. Poco dopo le ore otto del mattino i Bosniaci della 3a e della 4a compagnia dalle pendici del Romboncino presero a tirare con mitragliatrici, fucili e con un cannoncino da montagna sui tre battaglioni di Alpini avanzanti che pertanto non riuscirono a raggiungere la cima e furono ricacciati nel giro di un’ora circa di aspri scontri a fuoco ravvicinati. Fu ancora il Ceva a subire i danni più rilevanti, con la grave perdita di 500 uomini: sulle posizioni del Čukla tornò soltanto uno su cinque fra i combattenti mandati all’attacco.
Anche per il battaglione Saluzzo la sorte fu triste: si era disposto in tre direzioni d’attacco a partire dalla zona denominata dei Pini Mughi e dalla quota 1.583 del Rombon. La formidabile tempesta scatenata dalle mitragliatrici austriache neutralizzò gli sforzi del Saluzzo che fu costretto a tornare sulle posizioni di partenza lamentando la perdita di 13 Ufficiali e 278 fra Sottufficiali e Alpini.
Dal Rombon e dal Čukla dopo Caporetto.
Avvenuto lo sfondamento nei punti nevralgici di Tolmino e di Caporetto il 24 ottobre 2017, parte della 22a divisione Schützen e della 3a Edelweiss aveva affrontato gli Alpini del Rombon, senza peraltro sortire esiti di successo. Ma poi, ridotti paurosamente di numero dall’artiglieria austriaca e dai gas asfissianti, gli Alpini furono costretti a lasciare il terreno conquistato e a ripiegare verso la Sella Prevala per organizzare, lungo una marcia estenuante fra tempeste di neve e crepacci mortali, una estrema difesa sul massiccio del Monte Canin.
Le nostre truppe alpine in ripiegamento incontrarono un grave ostacolo alla Stretta di Saga poiché la stessa non era più presidiata dalla 50a divisione del generale Arrighi. L’abbandono della Stretta di Saga comportò l’isolamento del gruppo “Rombon” e il 25 ottobre già le truppe del generale Krauss valicavano la Stretta.