Alpini in armi

Breve rassegna dell’epopea Alpina nella Grande Guerra, in 7 puntate

Episodio #02

Occupiamoci ora degli Alpini, in particolare.
Parlando di Alpini vien subito da distinguere il loro operato, nella Storia d’Italia, in due aspetti fondamentali: l’uomo in armi, comandato a battersi per una motivazione di ordine superiore e l’uomo che presta soccorso in casi di calamità richiedenti il soccorso di emergenza. 
Come non ricordare, in prima istanza, l’Ortigara, oscuro teatro di annientamento, con le sue ingenti perdite, dove i gas e i lanciafiamme mietevano vittime come in un’ecatombe senza limiti, dove ordini contradditori e incapacità di coordinamento da parte dei responsabili portavano alla devastazione delle nostre formazioni alpine? 
La prima fase della battaglia dell’Ortigara ebbe luogo fra l’8 e il 10 giugno 1917, con la partecipazione di 26 battaglioni alpini (più di 20.000 uomini).
La seconda fase, perdurata dal 19 al 20 giugno 1917, fu preceduta da un bombardamento di preparazione sferrato dall’artiglieria italiana con il lancio di oltre 60.000 proietti dacannone di ogni calibro e da bombarde, ma con esiti scoraggianti.
Sull’Ortigara, dal 10 al 29 giugno 1917, tra l’infuriare di aspri combattimenti la vetta passò più volte dalle mani dei nostri a quelle austriache e viceversa. Gli scontri furono durissimi, tra rupi scoscese e passi infidi, con gli Austriaci che vollero contrattaccare nelle prime ore del 23 giugno. Fu un vero massacro. I battaglioni alpini che presero parte all’azione di maggiore evidenza lamentarono perdite gravissime: 461 Ufficiali, fra i quali 17 erano comandanti di battaglione, oltre a 12.698 Alpini. Furono i giorni 24 e 25 giugno a decretare la perdita del monte, da quel momento chiamato anche “Calvario degli Alpini”. Il battaglione Alpini Sette Comuni in un solo giorno di aspra lotta perse quasi tutti gli Ufficiali e il 70% degli Alpini, dopodiché fu richiamato in posizioni più arretrate.

Sulle erte tribolate dell’Ortigara rimasero a presidio i battaglioni Cuneo e Marmolada, sino all’ultimo poderoso attacco austriaco del 29 giugno.
Fu una battaglia che, per la crudeltà degli scontri e per la strage di uomini, fu definita come la più sanguinosa e insieme la più inutile fra tutte le battaglie divampate durante la Grande Guerra. 
A ricordo dell’immensità di sacrifici chiesti ai nostri Alpini, la stessa Associazione Nazionale Alpini, sorta da poco, nel 1920 organizzò e diresse la prima Adunata Nazionale scegliendo come meta l’Ortigara sulla cui vetta si eleva la Colonna Mozza a indicare le vite spezzate di tanti giovani, sacrificate alla Patria appena tre anni addietro.
Trattando dell’Ortigara non abbiamo seguito una più attesa successione cronologica, per il motivo che i contenuti succintamente descritti non sarebbero potuti passare in second’ordine.
Ora dunque ci riporteremo agli inizi della Grande Guerra, più precisamente sol Fronte Orientale delle Alpi. 
Dal Monte Peralba, sorgenti del Piave, fin dove arrivavano le competenze della 4a Armata, prendeva origine la linea di fronte presidiata dal XII Corpo d’Armata, andata sotto il nome di“Zona Carnia” comandata dal gen. Clemente Lequio,comprensiva di 16 battaglioni alpini, estesa sino al Monte Rombon in Slovenia. La Zona Carnia rivestiva un ruolo strategico di fondamentale importanza: percorrendo, infatti, la lunga dorsale alpina presidiata a ovest dalla 4a Armata e a est dalla 2a Armata del gen. Luigi Capello, in realtà doveva tenere a bada un settore geografico sensibilissimo, per la facilità che i valichi alpini ivi compresi avrebbero offerto alle truppe transfrontaliere di portarsi rapidamente in territorio italiano.
Sulla cresta delle Alpi Carniche la guerra iniziava con un vantaggio per l’Esercito Italiano, dovuto alla superiorità dei ranghi rispetto a quanto appariva nella controparte austriaca. Per altro verso i nostri avversari ci superavano in capacità previsionale e di movimento. La zona contrassegnata dal Passo di Monte Croce Carnico costituiva, per le nostre formazioni,una allettante via di transito promettente la penetrazione nelle terre austriache, per cui si rendeva necessario prendere saldo possesso delle alture dominanti che avrebbero consentito l’osservazione e la direzione della spinta offensiva. Si trattava, nella fattispecie, delle cime del Pal Piccolo, del Freikofel, del Pal Grande. Come si verificò altrove, purtroppo, i nostri Comandi temporeggiarono alquanto, per eccesso di prudenza, lasciando così agli Austriaci l’occasione favorevole per raggiungere per primi quegli importanti punti strategici. Fu così che il generale austriaco Fernengel poté preparare un attacco alle nostre posizioni già nel giugno 1915. Noi impegnammo da subito i battaglioni alpini Tolmezzo, Val Tagliamento, Val Varaita e l’VIII battaglione della Finanza. Si scatenarono duri scontri e aspre battaglie, finanche a corpo a corpo, con la conclusione della spartizione delle dorsali sud e nord del Freikofel rispettivamente fra le forze italiane e austriache. Accadeva allora che gli assalti, dall’una e dall’altra parte, si protraessero per lungo tempo, con alterne vicende, senza un esito definitivo. Così avvenne sul Pal Piccolo nel marzo 1916, quando i contendenti si affrontarono sulle pareti scoscese coperte dai tre ai sei metri di neve.
I ritardi nell’assunzione di decisioni tempestive per intervenire militarmente, da parte dei nostri Comandi, ebbero a ripetersi in numerose circostanze, sino alla disfatta di Caporetto del 1917.

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