Il 29 giugno è una data ricorrente nella nostra Storia, soprattutto per quanto riguarda il richiamo alle Truppe Alpine.
Iniziamo con il volgere l’attenzione al 2° reggimento Alpini, la cui data di nascita risale al 1882, nella città di Bra. Fu il Regio Decreto del 29 giugno 1882 a istituire, il 1° novembre 1882 in Bra (provincia di Cuneo), il 2° reggimento Alpini con l’assegnazione dei battaglioni Val Pesio, Col Tenda e Val Schio.
In pieno primo Conflitto mondiale si verificava un tragico fatto, quello perpetrato dagli Austriaci contro i presìdi sul Monte San Michele il 29 giugno 1916: ottomila soldati invasi dai gas venefici; cinquemila di essi trovarono la morte, ma furono anche molti di più a una valutazione successiva. Era un gas miscelato in percentuali varianti di bromuro di etile, cloro, fosgene, iprite o solfuro di etile biclorurato, bromuro di cianogeno e bromo acetone. Le nostre maschere antigas, autarchiche e poco efficaci, usate con molti accorgimenti erano idonee a difendere i colpiti soltanto dal cloro, ma non dalle altre tipologie di gas altamente mortali, pertanto furono complici nella perdita di un elevato numero di nostri soldati.
Era stata l’ecatombe abbattutasi sul Monte San Michele, una elevazione di appena 274 metri di altitudine, situato a sudovest di Gorizia, nei pressi di San Martino del Carso. Il San Michele resterà sempre nella memoria di chi conobbe e conosce gli orrori della guerra per la strage compiuta negli ultimi giorni del giugno 1916 dagli Austriaci con l’attacco di gas asfissianti che causarono, in particolare fra le nostre brigate Pisa, Brescia, Ferrara e Regina, 182 perdite fra gli ufficiali e ben 6.250 fra i militari di truppa, di cui 1.370 morti. Su quel terreno dell’orrore si sacrificarono, abbracciando la morte, oltre centomila Combattenti nell’una e nell’altra fazione in lotta.

La data del 29 giugno ci riporta sul Monte Cellon, a ovest del Passo di Monte Croce Carnico, allorché le due punte della sommità erano fatte oggetto di contesa fra Italiani e Austriaci. Questi ultimi occupavano la punta orientale, prossima al Passo; i nostri Alpini stavano su quella occidentale. Questa era la situazione che si presentava fin verso la fine di giugno del 1916. Avvenne, in quel frangente, che gli Austriaci stessero occupandosi del cambio di guarnigione. Sulla cima orientale del Cellon (foto a lato) cadevano granate sparate dall’artiglieria italiana, così devastanti da costringere gli avversari a trovare riparo in caverna.
Verso mezzogiorno del 29 giugno 1916 gli Alpini, con la complicità di una fitta nebbia che avvolgeva i versanti del monte, sferrarono un deciso attacco prendendo di sorpresa il presidio austriaco, impossessandosi quindi della cima orientale e facendo 156 prigionieri, ivi compresi cinque ufficiali. Ma le alterne vicende che muovevano le sorti dei contendenti in quelle circostanze di estrema precarietà dovevano decretare un ritorno degli imperiali nelle ore del pomeriggio sulla cima da poco persa. Non solo, ma i nostri avversari si diedero parecchio da fare per prendersi anche la punta occidentale, sennonché dovettero amaramente vedersela con una grandine di bombe a mano che respinse ogni loro velleitario tentativo di irruzione.
Furono gli Alpini del battaglione Val Pellice e i Fanti del 147° Caltanissetta a riconquistare, il 29 giugno 1916, il Cellon.
Come non ricordare l’Ortigara, oscuro teatro di annientamento, con le sue ingenti perdite, dove i gas e i lanciafiamme mietevano vittime come in un’ecatombe senza limiti, dove ordini contraddittori e incapacità di coordinamento da parte dei responsabili portavano alla devastazione delle nostre formazioni alpine?
Sull’Ortigara, dal 10 al 29 giugno 1917, tra l’infuriare di aspri combattimenti la vetta passò più volte dalle mani dei nostri a quelle austriache e viceversa. Gli scontri furono durissimi, tra rupi scoscese e passi infidi, con gli Austriaci che vollero contrattaccare fin dalle prime ore del 23 giugno. Fu un vero massacro. I battaglioni alpini che presero parte all’azione di maggiore evidenza lamentarono perdite gravissime: 461 Ufficiali, fra i quali 17 erano comandanti di battaglione, oltre a 12.698 Alpini. Furono i giorni 24 e 25 giugno a decretare la perdita del monte, da quel momento chiamato anche “Calvario degli Alpini”. Il battaglione Alpini Sette Comuni in un solo giorno di aspra lotta perse quasi tutti gli Ufficiali e il settanta per cento degli Alpini, dopodiché fu richiamato in posizioni più arretrate.

Sulle erte tribolate dell’Ortigara rimasero a presidio i battaglioni Cuneo e Marmolada, sino all’ultimo poderoso attacco austriaco del 29 giugno.
Fu una battaglia che, per la crudeltà degli scontri e per la strage di uomini, fu definita come la più sanguinosa e insieme la più inutile fra tutte le battaglie divampate durante la Grande Guerra.
A ricordo dell’immensità di sacrifici chiesti ai nostri Alpini, la stessa Associazione Nazionale Alpini, sorta da poco a guerra conclusa, nel 1920 organizzò e diresse la prima Adunata Nazionale scegliendo come meta l’Ortigara sulla cui vetta si eleva la Colonna Mozza (foto a lato) a indicare le vite spezzate di tanti giovani, sacrificate alla Patria appena tre anni addietro.
Ora ci portiamo un anno avanti, il 1918, l’anno della riscossa. Il 29 giugno le artiglierie tuonavano più baldanzose sull’Altopiano di Asiago. Ancora si spingevano infiltrazioni di nostre pattuglie con lo scopo di danneggiare le difese opposte lungo la linea presidiata. I nostri aviatori, affiancati da quelli alleati, bombardarono nelle retrovie centri di smistamento ferroviari e truppe nemiche in movimento, accrescendo il bottino con l’abbattimento di tre velivoli avversari.
Nelle zone tormentate qui descritte si batterono valorosamente i battaglioni del 2° reggimento Alpini: Argentera, Val Maira, Monviso che guadagnarono al reggimento la Medaglia d’Argento al Valor Militare. Furono loro campi di battaglia la linea Monte Cimon di Fiara – Monte Baldo – Monte Nos – Monte Longara, quella fra il Monte Sbarbatal e il Monte Meletta di Gallio, poi i Monti Tondarecar, Spil, Castelgomberto e Selletta Stringa, il Torrione e il Monte Fior.
Giusto gli ultimi giorni di giugno era in corso la seconda battaglia dei Tre Monti (Val Bella, Col del Rosso, Col d’Echele) che già aveva avuto una prima puntata alla fine del mese di gennaio 1918. La brigata Livorno era stata obiettivo della formidabile preparazione attuata dall’artiglieria austriaca su tutta la linea, con la devastazione dei punti salienti della Grottella, delle Rocce Anzini e del Col Moschin tenuti, appunto, dalla Livorno. Le nostre truppe a presidio della Grottella opponevano una forte resistenza alla pressione degli avversari, mentre le sorti si alternavano sulle Rocce Anzini e sul Col Moschin. Si approssimavano le ombre serali del 30 giugno quando i nostri, sviluppando un impeto irresistibile, ripresero definitivamente l’intero settore del Col del Rosso.
Col del Rosso, sull’Altopiano di Asiago, metri 1276, posizione chiave, insieme al Col d’Echele, della linea italiana sull’Altopiano di Asiago, perso il 23 dicembre 1917, riconquistato il 27 gennaio 1918 dalla brigata Sassari, perso ancora il 15 giugno e definitivamente rioccupato il 29 giugno 1918 dalle Brigate Teramo e Lecce.

È tempo di allontanarci dai fatti di guerra e di entrare nel contesto di iniziative colorate da un più desiderato spirito di fratellanza. Era la domenica 29 giugno 2008 allorché si celebrò il Gemellaggio fra le Sezioni Alpini Carnica e Saluzzo. Il giorno delle Celebrazioni solenni in Paularo, centro comunale dell’Alta Carnia, si dava inizio alla manifestazione con lo scoprimento della targa in memoria e onore del Cap. Mario Musso, Medaglia d’Oro al Valor Militare, all’imbocco della via che porta il suo nome. Il Saluzzese Mario Musso era stato colpito a morte, nel corso di una coraggiosa ed estrema azione di difesa, sul crinale di confine dei monti di Paularo, in località Val di Puartis il 14 settembre 1915, dopo aver disposto il salvataggio del grosso della sua 23a Compagnia, Batt. Saluzzo del 2° Alpini.

La celebrazione del Gemellaggio riprendeva con la sfilata e con una sosta prevista in Piazza Julia per la resa degli Onori ai Caduti. Quindi si arrivava al momento conclusivo dell’orazione religiosa officiata con l’uso esclusivo della lingua Carnico-Paularese e l’intonazione, a coronamento del momento liturgico, di due canti altamente pregnanti di significato per chi sa mantenere cuore e mente in alto, come e sopra le cime dei monti: “Stelutis Alpinis” e “Signore delle Cime”. Sentimenti di commozione non potevano fare a meno di condurci lassù, su quei dossi martoriati che assistettero al sacrificio di tante giovani vite del Piemonte, a iniziare dai 10 Caduti sul Pal Grande, dai 68 Caduti sul Pal Piccolo e dai 45 Caduti sul Monte Paularo che si affaccia sul centro abitato omonimo, là inchiodati dalla ferocia della guerra nei soli sei mesi del 1915.
All’orazione religiosa seguivano gli interventi del Presidente della Sezione “Carnica” e del Vicepresidente della Sezione “Saluzzo”.

Alla cerimonia erano presenti tutte le Autorità. Vi partecipavano il Gruppo austriaco OKB proveniente da Kötschach-Mauthen, il Gruppo Fiamme Verdi e il Gruppo Divise d’Epoca Militari. In testa a tutti la magnifica Fanfara degli Ex della Brigata Julia. Si disponevano in colorito ed imponente allineamento lo Stendardo del Comune di Paularo, n° 3 Vessilli Sezionali (Saluzzo, Carnica, Pordenone), n° 1 Vessillo delle Fiamme Verdi, n° 1 Vessillo del Gruppo Divise Storiche, n° 1 Gonfalone dell’OKB di Mauthen, n° 19 Gagliardetti della Sezione “Carnica” e n° 29 Gagliardetti della Sezione “Saluzzo”.
A conclusione di tutto, triste il commiato, triste e rumoroso, gremito di abbracci e fraterni intendimenti nel desiderio di ritrovarsi insieme, ma numerose anche le premesse gettate. Due giorni di condivisioni dal profondo valore umano e commemorativo hanno fatto nascere amicizie impensate, hanno ridestato nei cuori sentimenti di genuina comunanza Alpina, hanno creato occasioni propizie per gettare le basi di un’intesa collaborativa di vasta portata, vero segno dell’uomo che si apre agli altri per portare un messaggio di pace, di comprensione, di aiuto là dove il bisogno si fa urgente.
Andremo avanti così, non ci accontenteremo delle promesse: l’Alpino sa dalla nascita quello che deve fare e lo fa.
