Un Saluzzese caduto sul Cadore

Fra i tanti eroi della Grande Guerra mi piace poter parlare di due personaggi della mia zona, il Saluzzese, dei quali non si trova citazione nella letteratura dedicata. A parte la figura mitica del Capitano Mario Musso alla quale ho dedicato la mia attenzione di ricercatore in altre occasioni, credo doveroso sottolineare il valore del comportamento in battaglia dei due Combattenti di cui mi accingo a elencare a grandi linee le gesta.

Era di Saluzzo, giovane, coraggioso, un Eroe della Grande Guerra: il 4 agosto ricorre la data del suo sacrificio nel compimento del proprio dovere di Soldato. Ricordiamolo con ammirazione e onore!
S.Tenente di Compl. Adriano Lobetti Bodoni, di Alberto, nato a Saluzzo (Cuneo) il 5 marzo 1893, Ufficiale del 92° Reggimento Fanteria, 1° battaglione, 3a compagnia, perdeva la vita sul campo di battaglia nell’azione sul Roteck in Val Pàdola (Comelico Superiore, Alta Valle di Sexten) il 4 agosto 1915. Insignito di Medaglia d’Argento al Valor Militare.

A Santo Stefano di Cadore c’è un Cimitero Militare Monumentale intitolato ad “Adriano Lobetti Bodoni”. Sorge sui luoghi ove al tempo della Grande Guerra erano impiantati i baraccamenti delle retrovie italiane, sul lato destro del Pàdola, nella valle omonima che da Auronzo conduce al Passo di Monte Croce Comelico.  

Al n° 171 della sequenza di tumuli è sepolto il Sottotenente saluzzese Adriano Lobetti Bodoni con altri cinque compagni di armi del 92° Fanteria, caduti con lui il 4 agosto 1915 sul Monte Rothek. Lo ricordiamo in particolare, noi Alpini dell’ANA “Saluzzo”, per il legame di dolore e di nobile impegno che lega Saluzzo e Santo Stefano di Cadore.   

Il 23 maggio 1915, in attesa della deflagrazione del conflitto armato, Lobetti Bodoni scriveva a casa: “… ci sentiamo nobili e forti, ci sentiamo tutti fratelli, abbiamo fiducia in noi stessi e negli altri… Credimi: in guerra gli amici diventano fratelli e la loro morte è terribile, straziante… l’uomo che muore sul campo di battaglia, spegnendosi invoca sempre la Mamma e questa parola sembra gli lenisca gli spasmi più atroci… Lo strazio delle nostre carni è un nulla in confronto allo strazio orrendo di una Madre che viene ad apprendere che le è stato ucciso il figlio… Sono perfettamente pronto a lasciar la vita per il mio paese adorato. Qualunque sia la mia sorte l’accetterò contento…”. Adriano Lobetti Bodoni si era espresso, in una lettera del 28 giugno 1915, con le parole: “Ho da tempo un presentimento: quello di non ritornare”.

Nel Diario Storico del 92° Reggimento Fanteria si legge in sintesi: Alle ore 3,30 del 4 agosto 1915 si sferrava l’attacco al Monte Rothek; 20 minuti dopo i reticolati austroungarici venivano raggiunti. I nostri attaccanti riuscirono a ricavare una breccia, aperta con l’esplosivo, attraverso la quale faceva irruzione la 2a compagnia con il Comando del 1° battaglione, e occupava una prima trincea nemica. Ne seguiva un 2° attacco alla baionetta per la presa del trinceramento sulla cresta del Rothek. Qui cadde valorosamente il Capitano David della 1a compagnia, ma quest’ultima riuscì a mantenere la posizione raggiunta. Anche la 3a e la 4a compagnia ottennero rapidi successi. I nostri soldati, presi di mira dai colpi micidiali della resistenza austriaca, si affrettarono ad abbattere i reticolati. Non trascorse molto tempo che ai nostri avversari giunsero rinforzi di truppe bavaresi ben equipaggiate di mitragliatrici. La lotta proseguì accanita e, verso le ore 11, le posizioni conquistate dai nostri furono bersagliate dai tentativi nemici di riconquista con l’appoggio di munite bocche da fuoco. Si accusarono fortissime perdite: oltre 40 morti e più di 150 feriti giacevano inermi. Il Battaglione era rimasto privo del tutto di quadri ufficiali. Battuto senza sosta da artiglieria di medio calibro non aveva ormai che circa 400 uomini, stretto in una posizione insostenibile. Il Capitano Franck, che aveva il comando interinale del battaglione, ordinò infine il ripiegamento, ma subito dopo venne dilaniato dall’esplosione di una granata. Il comunicato descrive che “sia gli Ufficiali che la Truppa furono meravigliosi per il loro contegno ardito, valoroso, intelligente. Anche nei momenti più gravi della lotta”. Non si udì neppure un lamento fra i soldati, persino fra quelli gravemente feriti. Con il Capitano Paolo David caddero il Capitano Renato Franck e il Sottotenente Adriano Lobetti Bodoni di Saluzzo, tutti tre decorati con Medaglia d’Argento al Valor Militare. Altri quattro Ufficiali risultarono feriti, mentre nella Truppa si contarono 46 morti, 203 feriti e 39 dispersi.

La Motivazione al conferimento della Medaglia d’Argento al Valor Militare al Lobetti-Bodoni: “Occupava per primo una trincea nemica, dopo aver egli stesso aperto un varco nei reticolati. Ferito una prima volta, restò sulla linea di fuoco, incitando i dipendenti alla lotta, finché venne mortalmente ferito al petto e al capo”.

Il padre, Cav. Uff. Alberto Lobetti-Bodoni, in seguito a richiesta rivolta l’8 marzo 1922 al Sindaco di Santo Stefano di Cadore, ottenne l’autorizzazione a finanziare l’erezione di un Monumento Ossario in onore e memoria di sei Ufficiali e Soldati del 92° Reggimento Fanteria caduti sul Monte Rothek il 4 agosto 1915: l’Ufficiale era suo figlio Adriano. Il padre del Saluzzese caduto ottenne pure l’autorizzazione a dedicare un ricordo marmoreo a ogni salma inumata nel Cimitero di Santo Stefano di Cadore.

Il Cimitero fu adornato con 186 monumentini in granito riportanti i nomi dei Caduti, il reparto e il luogo del sacrificio. Numerosi sono i Soldati Ignoti annoverati. Il Cimitero raccoglie le Salme di 947 Caduti di cui 831 italiani, 109 austriaci, 1 ascaro e 1 boemo della guerra 1915-1918, e in più di 4 italiani della 2a Guerra mondiale e di un Alpino ignoto tumulato il 13 agosto 1983.

Nel 1954 il muro in pietra venne sostituito da una recinzione in ferro. Le celebrazioni annuali cadono il 4 agosto e il 4 novembre. La pubblicazione Il Campo dell’onore di Elio Pellizzaroli e Sergio Sommacal, datata novembre 2015, riporta un copioso elenco dei Militi sepolti nel Cimitero Militare di Santo Stefano di Cadore, con i nomi, il grado rivestito, il Corpo di appartenenza, la data e il luogo della morte e il numero della tomba. Numerosi si leggono i nomi di Alpini appartenenti al 3° Reggimento.

Pisani, un colonnello saluzzese

Pisani Francesco Luigi nacque a Saluzzo, prov. di Cuneo, nel 1865. Fu comandante della Brigata Foggia. Poi, con il grado di colonnello brigadiere, divenne comandante del campo e del II Giurì d’onore. La sua carriera militare iniziò nel 1884 allorché acquisì il grado di sottotenente di Fanteria. Prese parte alla guerra libica e meritò la prima medaglia d’argento al Valor Militare per il valore dimostrato nei combattimenti di Messri e Zanzur.
Asceso alla nomina di colonnello nel 1915, visse tutte le vicende della guerra contro l’Austria. Comandò il 156° Reggimento Fanteria, meritò una seconda medaglia d’argento sul Dosso Faiti e una terza sul Sabotino, ove rimase ferito. Colonnello Brigadiere comandante la Brigata Foggia nel 1917, venne catturato a Caporetto ed ebbe una medaglia di bronzo. Brigadiere Generale nel 1918, comandò la Brigata Piceno e nel 1923 assunse il grado di generale di brigata. Nel 1931 passò nella riserva. Nel 1938 risultava residente a Firenze.

Cfr. G. Re, Ceccarelli, Prigionieri dimenticati. Cellelager 1917-1918, ed. Mursia, Milano 2008 e Relazione Giurì d’onore. 

(da Wikipedia): Il timore di penetrare nel deserto interno spinse le truppe italiane a impegnare battaglie esclusivamente nelle oasi vicine a Tripoli nel tentativo di rendere più sicura la città da possibili incursioni, e soprattutto per recuperare tutte le posizioni perse o abbandonate in seguito alla controffensiva ottomana. Il 10 novembre fu ripresa Tagiura e il 26 novembre il generale Saverio Nasalli Rocca occupò il forte Mesri; lo stesso giorno altri reparti raggiunsero l’oasi di Henni dove vi furono durissimi combattimenti al termine dei quali gli ottomani furono sconfitti e si ritirarono disordinatamente ad Ain Zara. Il generale Caneva con una decisione imprevista decise di non far inseguire il nemico in rotta dalla cavalleria dove probabilmente avrebbe ottenuto una facile e definitiva vittoria.

Un grosso problema per l’esercito italiano era rappresentato da alcune oasi in mano turca lungo il confine tunisino che, trovandosi sulle vie carovaniere, ricevevano costantemente rifornimenti; in particolare, destavano preoccupazione le due oasi di Zuara e Zanzur; quest’ultima era situata a 30 chilometri a ovest di Tripoli e costituiva una probabile base da cui partivano gli attacchi notturni verso la città. Nel corso del mese di dicembre vennero quindi effettuate diverse operazioni lungo la costa, arrivando il 17 fino all’oasi di Zanzur senza tuttavia occuparla.

Il 22 dicembre ad Augusta fu imbarcata la 10ª brigata fanteria che doveva sbarcare nella penisola di Rus-el-Macabez; le pessime condizioni meteorologiche costrinsero però a rinviare lo sbarco provvisoriamente fino alla seconda metà di febbraio, tenendo le truppe acquartierate a Catania e Siracusa, e solo ad aprile fu possibile procedere con l’operazione. Il convoglio giunse davanti alla costa libica il 9 aprile, quando fu condotta un’azione diversiva verso Zuara, che attirò il grosso delle forze turche presenti; il 10 aprile a Macabez iniziò lo sbarco di un battaglione, una batteria da sbarco della marina e infine della 5ª divisione al comando del generale Vincenzo Garioni, la quale occupò immediatamente il fortino di Bu Chamez e vi creò una base d’appoggio.

Immagine di copertina tratta da Pietre Della Memoria.

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