Il sacrificio degli Alpini

A proposito della contestata data “26 gennaio” di cui s’è già molto discusso desidero esprimere una mia personale considerazione. Inizio allora con un estratto dalla pagina Web repubblica.it/politica/2022/04/16/news/giorno_della_memoria_celebriamo_gli_alpini_in_unaltra­_data-345726576:

(Una riflessione di Marco Patucchi – 16 aprile 2022). “La scelta del 26 gennaio, sancita dal Parlamento, in onore della battaglia di Nikolajewka del 1943, confonde memoria e revisionismo. Non è in discussione l’eroismo degli alpini della Tridentina che aprirono un varco alla ritirata in Russia. La data prescelta è il 26 gennaio, cioè il giorno del 1943 nel quale si combatté la battaglia di Nikolajewka: il disperato e vittorioso assalto della seconda Divisione Tridentina che consentì alla ritirata dell’esercito nazifascista – decine di migliaia di uomini italiani, tedeschi e ungheresi prostrati dall’inverno russo e dai combattimenti nella sacca del Don – di aprire un varco fra le linee sovietiche e raggiungere Sebelkino, fuori dalla tenaglia dell’Armata Rossa. Il 16 gennaio 1943, inizio della ritirata, il Corpo d’Armata Alpino contava 61.155 uomini. Dopo la battaglia di Nikolajewka uscirono dalla sacca in 13.420, di cui 7.500 feriti o congelati. Circa 40.000 alpini rimasero indietro, morti nella neve, dispersi o catturati. Un indubbio sacrificio, da onorare e ricordare. Ma il Parlamento avrebbe fatto meglio a fissare un’altra data per la Giornata degli Alpini”.

(Da Giovanna Vitale, 15 Aprile 2022): “Non è in discussione l’eroico sacrificio degli alpini della Tridentina, ma non si può non considerare perché erano lì nel gelo russo a combattere. Vale a dire, chi era l’aggressore (il nazifascismo) e chi l’aggredito (nello specifico l’Unione Sovietica e, allargando il campo, le democrazie occidentali minacciate da Hitler e Mussolini).

Chissà se fosse ancora vivo cosa penserebbe e direbbe della decisione del Parlamento, Nuto Revelli che partecipò a quella tregenda e che raccontò mirabilmente in “Mai tardi” la scoperta sulla propria pelle della crudeltà dei nazisti e della indegna approssimazione con la quale il fascismo aveva mandato a morire decine di migliaia di soldati italiani. Non a caso, una volta tornato in Italia Revelli aderì alla Resistenza e come lui buona parte dei reduci della campagna di Russia”.

Per conto mio intravedo tre motivi almeno per i quali la data del 26 gennaio non si dimostra la più appropriata:

1°) Si parla di Alpini, ma non si considera il sacrificio consumato sulla vita di una moltitudine di Combattenti italiani, in primo luogo i Fanti, quelli senza la Penna sul cappello; basti rammentare un nome tristemente famoso: Isonzo 1915-1917. Poi Artiglieri, Granatieri, Bersaglieri, Carristi, Genieri, Lagunari, Trasmissioni, Carabinieri, Paracadutisti e molti, molti altri ancora che non sto qui a enumerare. Pochi esempi nella Grande Guerra: Alpini, Bersaglieri e Fanti combattevano fianco a fianco sul Cukla e sul Rombon nel febbraio 1916; il 26 giugno 1916 Alpini del Val Pellice e Fanti del 147° Caltanissetta conquistavano insieme il Monte Cellon; il 23 luglio 1916 Alpini e Fanti raggiungevano la vetta del Monte Cimone; il giorno di Caporetto, 25 ottobre 1917, Alpini e Fanti difendevano le postazioni in Conca di Plezzo; Nel 1918 i Fanti della Sassari si distinsero sul Monte Fior. Molto più gravoso, rispetto a quanto si verificava per gli Alpini, era l’obbligo di inerpicarsi su pareti innevate e ghiacciate, oltre dirupi minacciosi, per Fanti che di montagna e di clima alpino avevano ben poca o nessuna esperienza, il loro sacrificio fu molto più grave e dispendioso.

2°) Nel caso considerato, come nella maggior parte dei conflitti che coinvolsero il nostro Esercito, l’Italia svolgeva la parte dell’aggressore. Possiamo considerare che in appena tre casi, corrente il secolo XX, le nostre forze furono impiegate in posizione difensiva: nel maggio-giugno 1916 con la “Strafexpedition” scatenata dal Generale Conrad sugli Altipiani; nelle battaglie del Piave – Monte Grappa, anni 1917-1918, per arrestare l’avanzata austro-tedesca in seguito al disastro di Caporetto e, 25 anni più tardi, durante la ritirata dal Don. Da sottolineare che tutte queste battaglie difensive si erano venute a combattere all’interno e come triste epilogo di guerre di tentata invasione da parte italiana. E, se vogliamo, possiamo aggiungere il ripiegamento in difesa a un certo punto della Campagna di Grecia quando, ridotti a mal partito, fummo costretti ad accettare l’intervento risolutivo delle forze germaniche per poterci cavare d’impaccio.

3°) L’evento Nokolajewka non fu il solo né il più crudele a memoria del sacrificio incontrato dagli Alpini in terra di Russia. Desidero dare risalto a questa asserzione con il riportare il modo in cui si svolsero i fatti nella circostanza considerata: (dal mio lavoro Il Battaglione Saluzzo): “20 gennaio 1943, giorno di strage e lutti. Il mattino del 20 gennaio ebbe inizio quella triste fase del ripiegamento che doveva segnare il sacrificio immenso della Julia e della Cuneense, trovatesi sbarrato il passo da trenta carri armati russi nei pressi di Nowo Postojalovka. Alle ore 13 del 20 gennaio il magg. Carlo Boniperti con il battaglione Saluzzo e il magg. Amedeo Raselli con il battaglione Borgo San Dalmazzo erano sul punto di avanzare. Mentre la 21a compagnia del cap. Chiaffredo Rabo, verso le ore 14, dovette far fronte a un reparto russo che occupava un gruppo di isbe, le due compagnie mandate avanti si preparavano all’attacco: il battaglione Saluzzo sulla destra e il battaglione Borgo San Dalmazzo sulla sinistra. A fungere da collegamento fra i due battaglioni stavano appostate la 15a compagnia del Borgo San Dalmazzo (cap. Danilo Astrua) e la 23a del Saluzzo (cap. Enrico Pennacini). Lo scontro si verificò nei pressi di Kopanki. Mentre i battaglioni Borgo e Saluzzo si disponevano all’attacco, il Dronero stava di retroguardia. Fu il Borgo, verso le quindici del 20 gennaio 1943, a sferrare l’attacco: tattica a sbalzi rapidi, con disposizione a scacchiera, fra le asperità del terreno e qua e là fra i cadaveri degli Alpini caduti in scontri appena precedenti. Poi l’entrata in Kopanki, con terribili corpo a corpo e irruzioni arditissime. Sotto i fuochi di copertura delle mitragliatrici degli Alpini, le punte in attacco stavano guadagnando rapidamente terreno, fin quando si mise in azione l’artiglieria russa gettando lo scompiglio fra i nostri e causando perdite ingenti, soprattutto alla 21a del Saluzzo. Il sacrificio di questa azione pesò moltissimo sulla 21a compagnia la quale, dopo aver sostenuto alcuni scontri ravvicinati, pagò il prezzo più alto in vite umane spente dai colpi dell’artiglieria russa. Fra i caduti veniva annoverato il tenente Giuseppe Abello, decorato in seguito con Medaglia di Bronzo al V.M. Da parte nostra si provò a controbattere con i colpi del gruppo di artiglieria Pinerolo (tenente col. Ugo Lucca), ma la disparità di efficacia fu sconcertante. Nell’insieme quattro carri armati russi riuscirono a provocare seri danni tra le compagini delle compagnie comando e 22a del battaglione Saluzzo. Cessati i tiri di artiglieria si affrontarono le truppe appiedate in una lotta furibonda nella quale caddero da eroi il tenente Signorati, il sottotenente Cesare Fumagalli (che otterrà la Medaglia di Bronzo al V.M.) e il sottotenente medico Giuseppe Mobili, tutti della 22a compagnia. Della compagnia Comando rimasero feriti il cap. Enrico Giannelli, comandante di compagnia (che terminerà i suoi giorni in prigionia) e caddero sul campo il tenente Pierino Moretti (Medaglia di Bronzo al V.M.), il tenente Roberto Savoino, i sottotenenti Giovacchino Giovacchini e Conticini.

Nel frastuono della battaglia, intanto, la 21a riusciva ad avanzare ancora e, con indicibile coraggio e forti perdite, verso le ore 16 sfondava lo sbarramento russo ed entrava in Nowo Postojalovka riunendosi così alla 23a. La volontà disperata di proseguire per trovare un cunicolo di salvezza spingeva frattanto la 106a del battaglione Saluzzo a portare avanti i pezzi da 47/32 e gli Artiglieri del gruppo Pinerolo ad attivare le proprie batterie, insieme anche a quelle della 104a del Borgo San Dalmazzo, con il bel risultato di mandare fuori uso ben quattro carri armati russi. Seguivano ripetuti attacchi all’arma bianca con la sofferenza di inevitabili numerose perdite, ma il risultato finale non si fece attendere oltre: Nowo Postojalovka fu presa.

Quanto costò questo sforzo immane! Si era nel pomeriggio inoltrato, verso le ore 17,30 quando il fuoco appiccato dai russi alle isbe fece luce da giorno sui nostri Alpini che, presi agevolmente di mira, caddero in numero impressionante sotto i colpi di aerei e carri armati. Del battaglione Saluzzo cadevano il cap. Enrico Pennacini della 23a e il cap. Roberto Barbarani della 106a armi di accompagnamento. Entrambi decorati con Medaglia d’Argento al V.M. – Cadevano il cap. Chiaffredo Rabo della 21a, ferito e tratto in prigionia, e il serg. Medaglia d’Oro al V.M. Vincenti di Piazza al Serchio (Lucca), colpito a una spalla mentre difendeva e tentava di recuperare il proprio pezzo da 47/32. Al capitano Chiaffredo Rabo fu decretata la Medaglia d’Argento al Valor Militare. Quel 20 gennaio di Nowo Postojalovka aveva decretato la decimazione di interi battaglioni della Cuneense riducendoli a circa la metà della forza originaria, compreso il battaglione Saluzzo.

La battaglia di Nowo Postojalovka fu la più lunga e la più sanguinosa fra tutte le battaglie che le divisioni alpine dovettero sostenere durante la marcia di ripiegamento. Così dalla valutazione del Generale Emilio Faldella in Storia delle Truppe Alpine, 1872-1972, pag. 1543. Al termine della Campagna di Russia la 4a divisione alpina Cuneense rientrava con la desolante cifra di 1.607 uomini sui circa 16.000 che erano partiti per il fronte.

E, allora, perché non spostare il peso della gravità nel sacrificio al 20 gennaio oppure perché non abbinare le date 20-26 gennaio in una intesa onnicomprensiva o, meglio ancora, a una data che non escluda alcuna delle Armi e Specialità sacrificate nei conflitti armati intercorsi nel “secolo breve”, per non dimenticare né porre in secondo piano o persino trascurare e ignorare altri eroici protagonisti del sacrificio sui fronti di guerra?

A mio modo di valutare i fatti, pertanto, l’assegnazione della data “26 gennaio” andrebbe rivista, con l’attenzione rivolta a considerare tutte le difficoltà del caso nel merito di quanto detto sopra a proposito delle guerre offensive-difensive e del coinvolgimento dei Combattenti senza distinzioni.

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