Oggi poso l’occhio sulle retribuzioni degli uomini politici italiani. Inorridisco: loro dicono, tutti senza esclusione, di non lavorare per la poltrona, ma per il bene del Paese. Ebbene, come ho già sostenuto e ribadito, proviamoci a portare il loro stipendio alla pari di quello di un Professore di Scuola Secondaria, poi vedremo chi avrà ancora tanta voglia di sedere al seggio e vociferare con parole roboanti portate subito via dal vento.
Questo dico, perché assisto all’ennesima ingiustizia sociale. Eccola. Il reddito imponibile di Beppe Grillo ammonta a 420.807 Euro, con una lievitazione paurosa rispetto all’anno precedente; quello di Renzi a 107.100. Sono queste, fra l’altro, le uniche denunce dei redditi 2017 di leader ad apparire nella sezione del sito del Parlamento dedicata a tesorieri e capi di partito. Di Maio ha dichiarato 98.471 Euro, Di Battista 113.417. Tra i ministri la più ricca è Fedeli con 182.016 Euro. Seguono Calenda con 166.264, Finocchiaro con 151.672. Da parte di Forza Italia e di Salvini non vi è cenno nell’elenco.
Di più: alla Camera Alberto Bombassei si porta a casa 5.198.751 Euro; la sua dichiarazione del 2016 si limitava a Euro 1.396.813. A Palazzo Madama i senatori a vita Piano e Rubbia sfiorano i 3 milioni di Euro.
Volgo l’occhio da un’altra parte e leggo la notizia che l’agenzia “Fitch” conferma il rating dell’Italia BBB con outlook stabile e prevede un debito pubblico altissimo, alla soglia del 128,8% per il 2019: “Il risultato delle elezioni del 4 marzo ha reso la formazione di un governo stabile difficile, aumentando la possibilità di un allentamento di bilancio e di un ulteriore indebolimento delle prospettive sul fronte delle riforme strutturali”.
E con tutto ciò riusciamo a regalare stipendi d’oro e pensioni d’oro e vitalizi da vergogna? Ma chi sono questi dei dell’Olimpo politico per essere trattati da nababbi a onta di chi si trascina per le strade e di chi muore di fame, di malattia, di solitudine, di inedia e di ignoranza? Queste cifre, assommate agli sprechi e alla fuga di capitali, virus dell’emorragia nel sistema finanziario italiano, dicono a tutti che i soldi ci sono, siamo il Paese dei miracoli noi, ma ci sono per alcuni soltanto, mentre per la moltitudine nient’altro che fumo negli occhi, blandizie, frode e inganno. Abbiamo sete di uguaglianza, di verità, di serietà, di onestà, di rispetto per tutti e per ogni singola persona.
Mi porta a commozione leggere quanto ha scritto l’amico Alpino Ermanno Zecchettin: “Sono disposto a rinunciare al 10 % della mia pensione a favore di contribuire alla riduzione del debito Italiano. Questo come pensionato Ufficiale delle Truppe Alpine. Sarebbe bene che qualcuno introdotto nelle sfere congedati Ufficiali che usufruiscono di pensione facciano qualcosa.”
Saranno i nostri politici a fare qualcosa? Improbabile. Dacché sondaggi attendibili danno per certo che su dodici Paesi oggetto di indagine, dove il salario dei politici si aggira in media sugli 82.918 Euro, i meno pagati risultano i parlamentari spagnoli, con 28.969 sterline, mentre l’Italia occupa il primo posto, spuntando un salario di 120.546 sterline ossia il 45% in più di quanto si registra nella media europea.
Quanto c’è da fare!
Stiamo percorrendo una fase molto difficile della nostra esistenza, offuscata da previsioni tutt’altro che rassicuranti. Avremo da affrontare tempi più critici ancora del presente, date le conseguenze economiche e sanitarie a lunga scadenza dell’immobilismo causato dal diffondersi dell’epidemia Coronavirus e da una sua molto probabile recrudescenza nei mesi a venire. Avremo veramente da metterci le mani nei capelli. È questo, senza dubbio, il momento cruciale per unire le forze di tutti e di far fronte alla scabrosa situazione.
Eppure proprio là, dove si assumono le decisioni importanti per la società intera, ossia la politica, si fa esattamente il contrario. Le vetuste ostilità per scalzare dai posti privilegiati i colleghi-antagonisti non danno segno di attenuarsi, anzi sembra proprio che si approfitti della malaugurata sorte che colpisce l’umanità intera per alimentare armi e strategie di lotta contro i soggetti considerati non altro che avversari in lizza. E così si contribuisce ad affondare ancor più la nave già in avaria.
Il Presidente, Capo dello Stato, si ingegna in tutti i modi per formulare belle parole di sollecitazione alla collaborazione, ma pare che quelle volino via al vento. E, allora, come si fa con i muli riottosi, perché il nostro Presidente non si arma di un bel bastone nodoso e non incomincia a rampognare seriamente con fendenti sonori tutti coloro che, pur essendo militanti della politica nazionale, anziché mettere a disposizione le proprie forze per comporre e ricomporre una struttura cadente – loro dovere assoluto – le provano tutte per minarne ancor più le fondamenta? Questa è l’ora di abbandonare le parole evanescenti, inascoltate e derise, è la volta di passare ai fatti, di agire. Sulla scena per la formazione del Governo la chiamata del Presidente ora si è diretta su Draghi, per una formazione che non sia politica, ma già si sentono levare voci di qua e di là a salvaguardia di un Governo politico, e tali interferenze nulla di buono annunciano per la riuscita della manovra sperata.
Nel sentirmi sconsolato da queste riflessioni e non avendo la possibilità di fare altro che superi la mia posizione di semplice osservatore mi concedo allora una manciata di minuti per dedicarmi a qualche buona lettura e incontro, nello Zibaldone di Pensieri di Giacomo Leopardi, alcune considerazioni filosofiche dalle quali mi sento attratto per la loro pertinenza con quanto ho appena osservato. Il Leopardi compose lo Zibaldone due secoli or sono, ma certi concetti ivi espressi ben si adattano al nostro carattere nazionale attuale, quello almeno dei più fra noi. Ne ho spulciato alcuni brevi passi. Eccoli:
“Lo stato d’egoismo puro, e quindi di puro odio verso altrui, è lo stato naturale dell’uomo.
“L’anima dei partiti è l’odio. Religione, partiti politici, scolastici, letterarii, patriottismo, ordini, tutto cade, tutto langue quando non è animato dall’odio.
“Io non chiamo malvagio propriamente colui che pecca, ma colui che pecca o peccherebbe senza rimorso.
“Gli uomini sono come i cavalli. Per tenergli in dovere e farsi stimare bisogna sparlare bravare minacciare e far chiasso.
“L’incivilimento ha mitigato la tirannide de’ bassi tempi, ma l’ha resa eterna.
“Gl’italiani non hanno costumi: essi hanno delle usanze. Così tutti i popoli civili che non sono nazioni. (9 luglio 1823)”
Ora mi domando: Veramente non siamo ancora “nazione”? Che cos’è che vi si frappone? Ancora persiste il fondo di significato che si accompagna al nostro Inno Nazionale: “Noi fummo da secoli calpesti, derisi, perché non siam popolo perché siam divisi.”? Be’, non c’è molto da titubare per trovarne una risposta. Basta guardarsi attorno nel volgere della vita quotidiana e vediamo immediatamente come ognuno di noi cerchi con insistenza di tirare la propria carretta verso la direzione più promettente, senza curarsi più di tanto degli altri, se non evitandoli allorché si frappongano a intralciare il nostro passo, ognuno di noi dominato da un radicato senso dell’egoismo. L’egoismo è immenso, vastissimo, colossale, domina il mondo: già lo sosteneva Arthur Schopenhauer (1840) mentre insisteva su una massima bruciante “L’egoismo, per nascondere il quale abbiamo vergognosamente inventato la cortesia, sbuca da tutti i veli nei quali lo abbiamo avvolto, perché in ogni persona che incontriamo cerchiamo per lo più, quasi per istinto, per prima cosa un eventuale mezzo per uno dei nostri sempre numerosi fini”. È vero che abbiamo manifestazioni contrarie a questo dato di fatto, basti pensare ai numerosi ed eroici atti di volontariato verso chi si trova nel bisogno, e per questo sono da farsi le dovute distinzioni. Ma in politica esiste un solo vettore di avanzamento: realizzare le personali aspirazioni al potere, al posto, ai privilegi di varia natura ivi garantiti.
Con atteggiamenti e propositi di tal genere non arriveremo da alcuna parte.
Vogliamo continuare a essere trattati come cavalli? E allora, Presidente, eufemismi a parte, lo vogliamo afferrare una buona volta quel bastone nodoso?
Torno un po’ indietro, al 4 aprile del 2018. Anche allora si aprivano le consultazioni al cospetto del Presidente della Repubblica. I primi a presentarsi, a partire dalle ore 10,30, furono i Presidenti del Senato e della Camera. Seguirono tutte le delegazioni dei partiti presenti in Parlamento.
Il primo e cruciale problema da affrontare era quello di mettere tutti d’accordo sul modo più efficace per arrivare alla formazione di una maggioranza capace di garantire al Paese un Governo solido e durevole. La serie di incontri si doveva concludere nel giro di 48 ore di ricevimenti.
È la stessa scena che si ripete oggi, tutto come prima, il Panta Rhei degli antichi Greci oppure il suo contrario. Un bel nodo di Gordio da sciogliere per il Capo dello Stato, il quale non si trova a valutare proposte costruttive così trasparenti di rappresentanti che, sebbene non arrivino di fronte a lui tenendosi a braccetto con la manifesta volontà di unire le forze per il bene del Paese, a parole si prodigano a indorare le prospettive emerse, ognuno dalla propria singola linea politica. Sa già in anticipo, il Presidente, che costoro si fanno avanti assumendo le sembianze di avversari dichiarati che, con tutti i sorrisi di circostanza, si guardano in cagnesco, l’un contro l’altro armati. Basta aprire le narici e respirare l’aria che tira.
Si farà un Governo? Lo si farà in tempi brevi, senza troppe ostruzioni? E, se ci sarà, quanto durerà? Sì, c’è da chiederselo, perché da come si vede il piego preso dalle varie posizioni pare che la politica italiana non abbia mutato aspetto né aspirazioni. Una politica vera e degna della gente che ha espresso un voto deve tralasciare da subito ogni spinta alla diffidenza incondizionata, alle prese di parte in assoluto e mettere piuttosto a confronto ciò che si possa valutare di meglio in ciascuna delle direzioni di pensiero espresse, per consentire al Paese di andare avanti in progressione, di crescere in pace e prosperità. Idee ce ne sono tante, da una parte e dall’altra; manca invece la capacità di attribuire a un’idea il valore che essa merita per intrinseca validità anziché bollarla per il colore con il quale è venuta alla ribalta.
Ma c’è di più, e di peggio se vogliamo. La sensazione che si ricava dall’assistere agli scontri fra parti politiche su programmi e proposte – ed è qualcosa che percepisco individualmente, non ne faccio quindi una massima universale – non è tanto quella del considerare un insieme di ipotesi e di strategie d’azione che valgano ad affrontare i problemi fondamentali del Paese e a impegnare forze e risorse allo scopo di dare loro una concreta soluzione. Purtroppo al centro dei discorsi formulati nella fattispecie udiamo soltanto parole e promesse, a fiumi, tutte cose che costano nulla e che svaniscono come nebbia al vento. La sensazione – mia personale, ribadisco, forse condivisibile da parte di alcuni – è che siano non tanto i gruppi allargati, quanto piuttosto i singoli, quelli che al momento più contano sulla scena politica, a ingaggiare una battaglia con lo scopo precipuo di arrivare al potere. E potere, sappiamo, significa alte retribuzioni, privilegi, indennità, visibilità, fama e prestigio: tutto un insieme di atteggiamenti ambìti in funzione esclusiva di gratificazione edonistica ed egotistica. Personalismi, dunque, coinvolgenti più spesso una ristretta cerchia di sostenitori interessati. Lo inducono a pensare, in prima istanza, tanto per ripetere, i lauti stipendi, i vitalizi, le copiose esenzioni fiscali, i pomposi rimborsi-spese. A guidare il nostro Paese abbiamo senz’altro bisogno di persone competenti, oneste, disinteressate, votate al bene comune. Non che attualmente siano del tutto assenti persone di questa fatta, non è questo che voglio significare; è la macchina nel suo insieme che non funziona o che funziona male. Uno qualsiasi di noi si può chiedere: i politici che abbiamo fanno quel lavoro perché credono davvero nella possibilità di imprimere una svolta efficace alla vita del Paese per il vantaggio di tutti e di ciascuno oppure esclusivamente perché sono attratti dal miraggio di una carriera invidiabile e fortemente remunerativa? La domanda è legittima, dopo la constatazione del primato che occupiamo in numerose statistiche negative nel novero di un confronto con decine di altri Paesi europei ed extraeuropei. È legittima, ancora, nel vedere che la vita politica italiana alle alte sfere, saltando di elezione in elezione e ogni volta raffazzonata alla meglio, va comunque avanti, con l’elargizione di privilegi che continuano a perpetuarsi per alcuni, e tempeste, tante tempeste di miserie che colpiscono la maggioranza. Basta aprire bene gli occhi e guardarsi attorno, a trecentosessanta gradi. Dico sempre, quando mi lascio andare a questi sfoghi, che, tutti, abbiamo sete di giustizia, di onestà, del diritto a vivere una vita dignitosa.
Ebbene, un modo ci sarebbe, non è la prima volta che ne faccio cenno, ma lo ripeto volentieri ed è questo: retribuiamo tutti i politici con uno stipendio pari a quello di un professore di Scuola secondaria, accordando comunque i rimborsi straordinari per spostamenti e annessi motivi di servizio, nella giusta misura e sempre rendicontati con documentazione alla mano. Sarebbero già trattati meglio di un professore di Scuola secondaria. Nel caso mio, quando lavoravo, viaggiavo ogni giorno da casa mia alla sede di servizio con le spese di trasporto “mezzo proprio” completamente a mio carico. Esclusivamente le spese di spostamento dalla sede dirigenziale alle Scuole dipendenti dislocate in altri Comuni mi erano rimborsate, e soltanto per il superamento di un dato chilometraggio, al di sotto del quale dovevo occuparmene a mie spese. E, quando decisi di risiedere in sede per evitare le gravose spese di viaggio, dovevo pagare di tasca mia il vitto e il canone di affitto dell’appartamento, luce, gas, acqua e annessi, senza godere di contributo alcuno. Le responsabilità? Già, le responsabilità, anche quelle si vanno a retribuire, ma ditemi, forse che un dirigente scolastico o un insegnante, direttamente impegnati nell’educazione di persone in età evolutiva, hanno minori responsabilità rispetto ai politici?
Ho espresso il mio punto di vista, ma, qualora si decidesse per una riduzione degli stipendi ai politici, nella misura a cui ho fatto cenno, sapete cosa accadrebbe? Semplice, un fuggi fuggi generale di tanta gente che troverebbe occasioni di migliore impiego, senza fatica, per sbarcare il lunario. A occupare i posti lasciati vacanti potrebbe essere impiegata gente con accertata competenza in materia giuridica e amministrativa, con genuina vocazione politica, con buona volontà e serietà di intenti; gente che sarebbe consapevole della possibilità di essere sollevata dall’incarico qualora cedesse a facili ignobili lusinghe e tradisse la fiducia dei propri elettori.
Perché non ci proviamo? Soltanto perché i privilegi sono il sacro Decalogo della politica di casa nostra e chi ne gode è al tempo stesso assurto al possesso di una personalità per certi aspetti divinizzata e quindi diventata intoccabile? Quello da me idealizzato potrebbe proporsi peraltro come un test, un vaglio per la formazione di una sana generazione politica e, insieme, l’inizio di un’era più fortunata e più gratificante per tutti.
Immagine di copertina tratta da PMI Reboot.