L’occhio del critico, oltre cent’anni dopo, volge sul Monte Pasubio, teatro di morti e sacrifici disumani. Ci troviamo in Vallarasa, a quota 2.235 metri, nel massiccio montuoso delle Piccole Dolomiti, tra l’Altipiano dei Sette Comuni e i Monti Lessini. Era, questo, un sito di notevole importanza strategica ai tempi del primo Conflitto mondiale, per la sua funzione di punto di osservazione e di sbarramento su un ampio territorio comprendente l’alta Val Posina, la Valle del Leogra, la Vallarsa, la Val d’Agno e la Val Terragnolo. Costituì, fin dal primo giorno di guerra, un solido baluardo difensivo in mano delle nostre truppe. A grandi linee c’è da dire che fu oggetto di aspre contese, corrente l’anno 1916 e fino al concludersi della guerra, fra Italiani e Austriaci.

Famosa fu la rinomanza orografica nelle denominazioni “Dente italiano” e “Dente austriaco” per la carneficina, prolungata e non sempre risolutiva, che si verificò per la conquista del complesso.
Dal Pasubio, verso Sud, troviamo i Monti Lessini e, più oltre, la città di Verona; a Nord, Rovereto e Trento; a Ovest l’Adige con la Val Lagarina e l’estremità settentrionale del Lago di Garda; a Est la val Posina con il centro di Arsiero, il Cengio altrettanto famoso per le vicende belliche ivi vissute dai nostri Combattenti, Asiago e l’Altipiano dei Sette Comuni fino al Brenta.
Dopo la controffensiva italiana lanciata dalla 1a Armata il 16 giugno la lotta continuò sanguinosa nei mesi successivi, in particolare sul Dente (m 2200) che fu conquistato il 21 ottobre.
Era il 2 luglio 1916 allorché gli Austroungarici svilupparono forti pressioni invasive in direzione delle Porte del Pasubio, con l’evidente progetto di gettarsi sulla pianura vicentina. In quell’occasione il Pasubio diventò la chiave della difesa italiana: se le nostre forze avessero ceduto, l’avanzata e la discesa vittoriosa delle troppe austriache sulla pianura veneta sarebbero presto diventate un fatto compiuto. Gli scontri in zona Pasubio arrivarono al culmine il 2 luglio 1916 con l’estremo sacrificio delle brigate Verona e Volturno le quali, affrontando la perdita di altri duemila uomini oltre ai precedenti, costituirono il muro d’arresto definitivo a quello che fu l’ultimo sforzo austriaco di invadere la pianura veneta.
È da segnalare la presenza attiva, sul baluardo difensivo del Pasubio, del generale Roversi al comando della brigata Verona, ma il vero difensore della posizione, si disse dopo il 2 luglio 1916, fu il tenente Salvatore Damaggio, protagonista di una vicenda dalle sembianze incredibili: era riuscito a recuperare una mitragliatrice scavando in un cumulo di pietrame, ma non gli fu possibile impossessarsi del treppiede che sarebbe servito a sorreggere l’arma durante il fuoco. Seppe però, con rara maestria, sganciare la mitragliatrice dal treppiede conficcato profondamente nel terreno. Il suo attendente che lo accompagnava nell’impresa, tale Giuseppe Cappa, si prestò a fare da treppiede porgendo la spalla per dare appoggio all’arma. Si verificò, in quell’istante, qualcosa che sa dell’inverosimile: con il pesante fardello dell’arma sulla spalla del suo attendente, il tenente Damaggio sparò raffiche senza sosta, per una quantità di oltre 20 mila colpi sollevando una barriera di fuoco a contrasto dell’avanzata austriaca.
Il Pasubio si conformò come un teatro di guerra di terribili dimensioni nel contesto della Grande Guerra. Vi si trovarono a confrontarsi contingenti di Fanteria che raggiunsero l’entità di 40 mila uomini, impegnati per quasi due anni in una lotta cruenta. I nostri soldati furono costretti a parare l’urto dei Kaiserjäger ben determinati a far saltare la linea italiana di resistenza. Nello scontro del 2 luglio 1916 caddero, tra morti e feriti, circa 2.600 Combattenti e altri 300 furono tratti in prigionia. Come descrive Fritz Weber (in Guerra sulle Alpi, Mursia Ed., Milano 1978), i nostri avversari si trovavano in minoranza in fatto di armamento: dotazione di bombarde e di munizioni, mancanza o scarsità di elmetti protettivi, inesistenza di trincee.
Furono i Kaiserjäger tirolesi del 3° reggimento a sfoderare un poderoso attacco il 17 e il 20 luglio, vanificato tosto dalla nostra artiglieria.
Il contrattacco esplose il 10 settembre con il fuoco dell’artiglieria italiana. Si misero in moto sei battaglioni di Alpini e uno di Fanteria: erano circa settemila uomini che avanzavano contro gli Imperiali. Lo scontro avvenne con inaudita violenza, senza esiti di conquista ma con perdite dolorosissime per entrambe le parti contendenti. L’attacco del 10 settembre 1916 al Dente austriaco costò molti sacrifici ai nostri Alpini: Schemfil (1916-1918. La Grande Guerra sul Pasubio, Arcana Editrice, Milano 1985) riferisce di 110 caduti sul campo di battaglia; tra morti, feriti, dispersi e prigionieri le nostre formazioni contarono complessivamente 3.369 perdite.
L’apice della battaglia si verificò il 9 ottobre allorché prese il via una violenta tempesta di fuoco che coinvolse il fronte ambito. Venne messa drammaticamente in gioco la possibilità di arrestare una volta per tutte il tentativo austriaco di avanzata oppure di assistere a un’invasione devastante della pianura da parte delle forze avverse. Nel caso più sfortunato sarebbe potuta crollare l’intera linea di fronte dall’Adige all’Astico con il pericolo imminente di un ulteriore cedimento fino al Brenta.
La preparazione della mossa italiana di contenimento mise in azione le artiglierie che sputarono un fuoco micidiale per ben dieci ore. L’attacco italiano venne sferrato nel pomeriggio del 9 ottobre 1916 con l’avanzata di sette battaglioni gettati per lo più allo sbaraglio tra la pianura e il Cosmagnon: si arrivò a un corpo a corpo crudele fra Kaiserjäger e Alpini. Gli Imperiali raggiunsero un parziale successo, pagato con impressionanti perdite. Le nostre forze si riorganizzarono e otto giorni appresso disposero per l’attacco 16 battaglioni di Fanteria e di Alpini, facendolo precedere da un infernale bombardamento scatenato con una violenza mai vista.
Fritz Weber, con l’occhio dell’austriaco, descrive queste fasi della battaglia ponendo l’accento, soprattutto, sui suoi Kaiserjäger e sul valore del tenente Oberguggenberger nel far fronte al nostro battaglione Alpini Aosta, senza peraltro sminuire le alte qualità dei nostri soldati, riconosciute con l’espressione “Ma gli Alpini si dimostrano anche in questa circostanza tenaci e valorosi soldati”.
Furono quattromila le perdite fra gli Alpini e molte centinaia di morti ricoprivano le falde scoscese del Pasubio. La tragedia non era ancora giunta a compimento: lo sarà soltanto con lo scoppio definitivo della devastante mina del 13 marzo 1918.

Nella ricerca di equilibrio per poter più equamente valutare le vicende che si svolsero sul Pasubio vado a ricercare fra le pagine di un altro autore della parte avversa, Viktor Schemfil che ci riconduce sul Monte della morte. L’autore citato colloca il teatro di battaglia con l’inizio della Strafexpedition voluta e diretta dal gen. Conrad von Hötzendorf nelle prime ore del mattino del 15 maggio 1916, allorquando la potente disposizione dell’artiglieria austriaca entrò in azione con un fuoco tremendo. Al cessare dell’azione preparatoria si mosse la 59a divisione con tale impeto da riuscire a spingersi sino ai margini del torrente Leno di Terragnolo. Il pericolo per la nostra linea difensiva si era fatto reale, ma provvidenzialmente accadde qualcosa di augurabile per noi sul piano internazionale: verso la fine di maggio l’Esercito russo riuscì a sfondare in Galizia minacciando seriamente l’integrità dei confini austriaci. Fu questo uno dei motivi, il più significativo per Schemfil, dell’alleggerimento della pressione austriaca sull’Altipiano di Asiago per la necessità urgente di trasferire truppe sul fronte orientale a contenimento della falla venutasi a creare.
I nostri ripeterono attacchi successivi al Dente austriaco il 9 e il 10 ottobre. Trascorso un breve periodo di pausa, tra il 13 e il 16 ottobre, nel pomeriggio del 17 l’offensiva riprese con rinnovato vigore portando un nuovo attacco al Dente austriaco, seguito da attacchi e contrattacchi nella notte del 18 ottobre e, il giorno seguente, da un contrattacco decisivo che portò alla totale rioccupazione del Dente da parte austriaca. Trascorse appena 24 ore, ecco svilupparsi un ennesimo tentativo italiano al Dente austriaco: fu il contrattacco decisivo per la totale rioccupazione del Dente. Dalle parole del maggiore austriaco Högn e riportate da Schemfil, si ricava che “il 19 ottobre fu il giorno più sanguinoso verificatosi nel corso dell’offensiva italiana. Le perdite sicuramente assommarono ad almeno 300 uomini”. Qui per perdite si intende il sacrificio subito dai reparti TJR corrispondenti al reggimento Jäger tirolesi. Schemfil cita ancora il colonnello brig. Ellis nella sua affermazione: “Si ricordi che per il possesso del Pasubio i combattimenti decisivi si svolsero su uno spazio largo appena 80 metri e che su di esso, in una lotta durata giorno e notte dal 9 al 19 ottobre, vennero impiegati, da una parte e dall’altra, centinaia di combattenti esposti a un fuoco tremendo di cannoni e di bombarde”. Aggiunge Schemfil: “Si poté dunque giustamente parlare di una macina del Pasubio dove 17 compagnie di Kaiserjäger, una di bosniaci e cinque sezioni mitragliatrici vennero letteralmente triturate” e ricorda ancora il valido tenente Oberguggenberger che seppe resistere dal 9 al 18 all’impeto irresistibile sferrato dagli Italiani.
Le perdite, dal 9 al 20 ottobre 1916, ammontarono a oltre 4.000 fra morti, feriti e dispersi per la 58a brigata da Montagna austroungarica; a quasi 4.400 per la 44a divisione italiana. Le perdite complessive per la formazione italiana, nel periodo intercorso dal luglio all’ottobre 1916, sul territorio e parte della Vallarsa e fino alla località Sette Croci a quota 2000 furono, a detta del generale Emilio Faldella (1978), di 237 ufficiali e 5.268 soldati dei quali 699 morti, 3.292 feriti e 940 dispersi.
Nella guerra di mine sviluppatasi nei tentativi di impadronirsi della posizione, avanzati da entrambe le parti in lizza, fu l’ultima mina, quella posata dagli Austriaci, a sviluppare la potenza più devastante. Si parlò di oltre 50 tonnellate di esplosivo ad alto potenziale dirompente. In quell’occasione il brillamento del mortale ordigno causò il crollo della parete frontale del Dente Italiano. Sotto le macerie restarono sepolti oltre 480 nostri soldati; erano della brigata Piceno e non tutti furono ritrovati ed esumati.

Le mine fatte brillare furono complessivamente dieci, delle quali 5 austroungariche: la prima il 29 settembre 1917, la quarta il 22 ottobre 1917, la sesta il 2 febbraio 1918 e la decima e ultima il 13 marzo 1918. Quelle di mano italiana furono l’altra metà: la seconda il 2 ottobre 1917, la terza il 22 ottobre 1917, la quinta il 21 gennaio 1918, l’ottava il 13 febbraio 1918 e infine la nona il 5 marzo 1918. La mina austriaca del 13 marzo 1918 scoppiò alle ore 4,30 del mattino, ma non fu seguita, come accadeva di solito, dall’attacco della fanteria, e il Dente rimase in mano agli Italiani. Gli Austriaci avevano scavato una galleria da mina per la lunghezza di 250 metri, tenendosi a circa 35 metri in parte sotterranea, al di sotto della Selletta; la galleria terminava con due camere di scoppio a circa una cinquantina di metri dalla superficie del Dente italiano. La mina austriaca scoppiata il 29 settembre 1917 nella selletta che separava i due Denti, quello italiano e quello austriaco, causò trenta vittime italiane, e quella del due ottobre seminò la morte per dodici Austriaci.
La guerra di mine sul Pasubio ebbe al suo attivo le seguenti tragiche cifre: 88 perdite fra gli Austroungarici e 232 fra gli Italiani.
Il 29 ottobre 1922 il Governo italiano dichiarava Zone Monumentali le sommità dei Monti San Michele, Sabotino, Grappa e Pasubio.